Viverone, ridente paese ai piedi della collina della Serra, si specchia nelle acque di un dolce lago.
In origine il borgo aveva le caratteristiche del ricetto, una struttura urbanistica fortificata adibita a magazzino di prodotti agricoli ed a rifugio temporaneo per i contadini ed il loro bestiame.
All’interno del ricetto vi era ed è rimasto ancora oggi, l’oratorio di S. Giovanni Battista nel Castello, che era la cappella gentilizia dei signori del luogo. Già nel 1348 si trovava dipendente direttamente dalla antichissima chiesa vercellese.
Nel 1771 si doveva costruire una chiesa nuova, ma il lavoro non fu mai fatto e fu anzi restaurata quella esistente, che così è pervenuta fino ai nostri giorni: con soffitto al posto della volta e ornata di antichi affreschi cinquecenteschi nelle pareti.
Santa Maria della Cura
Tre erano le chiese che un tempo avevano un rettore a Viverone: quella di S. Maria, quella di S. Nicola (l’attuale parrocchia) e quella di S. Martino al Lago (scomparsa).
La chiesa di S. Maria, detta anche la « Cura vecchia» , sorge a metà strada tra Viverone e Roppolo Piano e servì da parrocchia per i due paesi fino al 1789, anno in cui Roppolo Piano divenne parrocchia autonoma. La sua costruzione, in stile gotico quattrocentesco, è ad un’unica navata, con ampie ogive, un monumento assai singolare per il Biellese. Nel corso dei secoli subì numerose aggiunte e manomissioni che deturparono la bellezza della sua linea. La volta è ancora a capriata come in antico, mentre il coro è un’aggiunta del ‘600. Nel corso del XVIII secolo subì innumerevoli modifiche: le finestre, che erano tonde, divennero quadre, la chiesa fu allungata di un’arcata e fu costruita la facciata barocca che vediamo oggi.
La nuova chiesa parrocchiale
La chiesa parrocchiale di Santa Maria è un rifacimento ottocentesco dell’antica chiesa di S. Nicola, del sec. XII. Fu ristrutturata nelle forme attuali all’inizio del sec. XVIII, tranne il coro, aggiunto e benedetto nel 1773. La costruzione del campanile fu iniziata nel 1710. La facciata fu compiuta verso la metà del sec. XIX.
La decorazione interna della chiesa, a tre navate sostenute da colonne in pietra, fu eseguita nel 1869 con offerte dei parrocchiani. Opere degne di nota sono il pulpito, il coro e la cassa dell’organo. L’organo, poi, è opera dei Fratelli Serassi di Bergamo, probabilmente i più rinomati organari italiani dell’ 800. L’«opus 359» del 1815 non ha praticamente mai subito restauri ed è posto su una cantoria anch’essa costruita nel 1800. Ai primi anni del ‘600 risale la tavola dell’Assunta che fa da icona all’altare maggiore. Nel 1791 la chiesa fu dedicata all’Assunta ed eretta a Parrocchiale
La cella di S. Michele di Viverone
La chiesa di San Marco, meglio nota come “Cella di S. Marco” in origine era dedicata a S. Michele, ma cambiò nome all’inizio del ‘500. Originariamente dipendeva dal monastero di S. Genuario, come appare dalla bolla di Papa Eugenio III e ancora nella bolla di Papa Eugenio IV.
Divenuta nel secolo XIV commenda, fu poi lasciata dai benedettini. Oggi restano la chiesa, in parte nell’originaria struttura romanica visibile all’esterno del lato nord e nell’abside semicircolare; il campanile, pure romanico, di pietra viva, alleggerito da monofore e bifore, sostenute da esili colonnine.
Storia
Il periodo indubbiamente più ricco di testimonianze è la Preistoria: i reperti che Viverone e il territorio circostante offrono vanno oltre un’importanza locale. Il periodo romano fu un’epoca di relativo sviluppo, che vide la diffusione del Cristianesimo; scarse sono però le notizie sulla zona di Viverone.
Notevolmente più documentato risulta il Medioevo e il suggestivo ricetto di Viverone può essere considerato un po’ il simbolo dell’animata e spesso agitata storia del paese e del suo lago in questa epoca.
Ma è nel periodo successivo, quello dell’età moderna, che l’interesse per il lago si fa più vivace e provoca lotte per la sua proprietà: in questi secoli più recenti, comunque, la storia di Viverone e del suo lago diventa sempre più intimamente collegata con quella nazionale.
Preistoria
Durante il Neolitico (4500-3000 a.C.) si sviluppò l’industria fittile (vasi a bocca quadrata in Pianura Padana) e contemporaneamente si sentì la necessità di associarsi e di vivere in comunità: sorsero così villaggi di capanne, uno dei quali nacque dove si trova ora Viverone.
Tra il 3000 e il 2500 a.C. cominciò l’età dei metalli con la scoperta del rame: le armi di pietra furono sostituite da quelle di metallo. Dalla fusione del rame e dello stagno nacque poi il bronzo: questo periodo viene denominato età del Bronzo (2000-700 a.C.). La produzione del bronzo consisteva soprattutto in strumenti di guerra ed in numerosi oggetti d’artigianato che permisero il diffondersi del commercio.
Dai ritrovamenti avvenuti a Viverone e nel Vercellese si può affermare che l’insediamento si formò in questo periodo. Il clima e l’uso di strumenti in bronzo hanno favorito una crescita demografica ed il rafforzamento dell’economia agricola. Prima della scoperta di villaggi lacustri le più antiche tracce della presenza dell’uomo nel circondario del lago di Viverone erano già rilevanti: si ricordano una spada di Bronzo, una forma di fusione, due piroghe e utensili in selce.
Nel complesso i reperti ed i dati ottenuti documentano una presenza attiva dell’uomo a Viverone già migliaia di anni fa e permettono di dedurre che ivi esistevano dei villaggi palafitticoli. Questa tesi è confermata dalla scoperta di quattro di questi villaggi presso il lago di Viverone che, secondo la datazione al carbonio 14, risalgono all’850 a.C. (tarda età del Bronzo), anche se secondo alcuni studiosi potrebbero essere anche più antichi (tardo neolitico e prima età del Ferro).
Nella regione Navione (Nord-Ovest ) e nei pressi del Gesiun, sono state scoperti numerosi resti di fornaci primitive, insieme a scorie di fusione, frammenti di crogioli in pietra, di vasi e coppe in pietra ollare valdostana. La fornace meglio conservata si trova interrata presso la chiesa di San Pietro in Navione: è fatta in laterizi e creta, profonda oltre 1 m e con un diametro di quasi 3 m. Sempre nella zona tra Piverone e Viverone sono stati trovati molti altri reperti, ma sono di difficile datazione (periodo pre-romano) in quanto non facilmente distinguibili da quelli di età romana.
Anche presso il Lago di Bertignano, località Cava di Purcarel, è stato individuato un villaggio lacustre di capanne costruite su dodici ammassi di ciottoli di grosse dimensioni. Uno scavo eseguito nel luogo di tale villaggio avrebbe portato ad individuare materiali ceramici riferibili a due differenti strati, che possono indicare, anche se non si possono datare i reperti, due epoche differenti di frequentazione del sito.
Spada di bronzo
Nel 1830 nella torbiera di Moregna (lato sud-ovest) fu rinvenuta casualmente una spada di bronzo “tipo Monza”, lunga 65 cm. Essa presenta un codolo a spina stretta e una base con due fori sotto alla quale due rientranze formano una strozzatura; la lama a sezione romboidale è lunga e stretta, con una costola centrale delimitata da due solcature. Attualmente è conservata nel Museo di Antichità di Torino .
Forma di fusione
All’inizio del ‘900 in località Navione (presso Piverone ) è stata rinvenuta una forma di fusione composta da due grossi parallelepipedi in pietra ollare abbinati, di cui uno spezzato in due frammenti. Tre incisioni permettevano la fusione di spade di bronzo di tipo Herbenheim in tre lunghezze differenti, di cm 65, 72, 75; sono inoltre presenti numerosi sfiatatoi agli imbocchi di colata in corrispondenza delle punte delle lame. Nelle due parti della forma sono visibili i perni in rame o in bronzo ed i fori corrispondenti che servivano per assicurare la giusta sovrapposizione delle due metà. Questa forma di fusione è conservata attualmente presso il Museo P.A. Garda e del Canavese ad Ivrea .
Piroghe
La prima piroga trovata nel Lago di Bertignano fu condotta alla luce durante uno svuotamento del lago nel 1912. E` costituita da un tronco unico di castagno lungo circa 4 m. E` stata datata come risalente al 250 d.C.
La seconda piroga trovata a Bertignano nel 1978 venne recuperata nel 1982. E` lunga 3,75 m. scavata anch’essa in un unico tronco di castagno. Da un’analisi al carbonio 14 risulta che il legno risale al 1450 a.C.
Questo ritrovamento è particolarmente importante perché è stato possibile effettuare una datazione precisa e perché attesta la presenza del castagno nel Canavese già prima dell’arrivo dei Romani.
Villaggi palafitticoli
Nel 1966, dopo un attento studio delle condizioni ambientali del lago, ebbe inizio a Viverone, in località Cascina Nuova , una ricerca subacquea di reperti che confermassero la presenza di villaggi palafitticoli. Le scoperte non si fecero attendere: proprio a Cascina Nuova, venne trovato il primo campo di pali e a questo ne seguirono altri tre di diverse dimensioni. I quattro siti sommersi furono denominati con le sigle VI.1, VI.2, VI.3 e VI.6.
Mentre VI.3 (Cascina Nuova ) risulta isolato ed in posizione nettamente differente, i tre siti VI.1, VI.2 e VI.6 documentano un fitto popolamento della sponda Nord, Nord-Ovest del lago. Ubicati in bassi fondali, senz’altro emersi durante la fase recente (1300-1200 a.C.) e finale (1200-900 a.C.) dell’età del Bronzo per via di un ritorno del clima secco ed arido, i villaggi possono rappresentare un unico momento di insediamento oppure un’espansione demografica con la costruzione di nuovi nuclei di capanne o di palafitte. Dalle mappe di distribuzione dei pali del sito VI.2 (173 pali) si possono già individuare quattro case a pianta rettangolare, collegate alla sponda o ad un margine rialzato mediante una passerella o un camminamento protetto, che a due terzi del percorso presenta uno sbarramento ben marcato: la palizzata. Inoltre alcuni pali più al largo fanno pensare ad un molo verso il lago aperto. La semplice lettura della planimetria ed il rigido schematismo logico della disposizione degli spazi fanno di questo insediamento quasi un modello classico di villaggio lacustre.
Non si può dire la stessa cosa, per motivi diversi, degli altri tre siti: VI.1 è molto ampio (5000 pali) quindi complesso nella lettura, VI.3 nonostante le ridotte dimensioni (71 pali) è complicato nella planimetria, infine VI.6 non è ancora stato analizzato approfonditamente.
Dalla ridotta dimensione delle case si presume fossero abitate ognuna da un solo nucleo famigliare. Dal ritrovamento di molte ossa di animali si è venuto a conoscenza che la macellazione molto probabilmente era praticata quotidianamente; gli animali riconosciuti sono diversi: bue domestico, cervo, pecora, ovicaprini domestici, maiale, capra, cavallo, cane domestico e camoscio. Da questo si deduce che l’alimentazione base si fondasse sulla carne ottenuta dal bestiame bovino. La pesca aveva, stranamente, un ruolo del tutto secondario per queste comunità palafitticole. L’analisi dei reperti archeologici rinvenuti sul sito VI.1 permette di meglio definire cronologicamente le vicende dell’uomo sulle sponde del lago.
Della ceramica raccolta sul sito rimangono olle, dolii, orcioli, scodelle e tazze. Tali ritrovamenti sono distinti in due tipi dagli studiosi: i primi, grossolani, dall’impasto meno curato, sono i prevalenti, i secondi, di ceramica più fine, hanno le superfici levigate. Per entrambe le classi la decorazione si presenta abbastanza varia. Dei reperti fittili vanno ricordati diversi pesi di varie forme. Tra i reperti litici fu rinvenuta una forma di fusione per fondere spilloni.
I prodotti della metallurgia recuperati sono: una punta di lancia, un rasoio, un probabile morso per cavallo, due spilloni, duepinzette, tutti in bronzo. Il complesso di materiali rinvenuti consente di riferire i villaggi palafitticoli di Viverone alla fase medio recente dell’età del Bronzo. Si trattava di una popolazione ricca, con un’economia solida basata sull’agricoltura integrata con l’allevamento; i manufatti inoltre dimostrano un’ottima tecnica di lavorazione, per cui oggi si parla di una vera e propria “Cultura di Viverone“.
Periodo Romano
I Salassi e Roma
Dal V-VI secolo a.C. l’Alto Canavese e la Valle d’Aosta furono occupati da un fiero popolo di origine celto-ligure, i Salassi, che diedero l’avvio ad un’ampia e sistematica attività mineraria.
Nel II sec. a.C. i Romani intrapresero numerose campagne militari contro i Celti e i Liguri dell’Italia nord-occidentale e, per garantirsi la via delle Gallie, a partire dal 143 a.C. si scontrarono a più riprese contro i Salassi: fondarono perciò l’avamposto di Eporedia ( 100 a.C. ), ma solo nel 25 a.C. Aulo Terenzio Varrone riuscì letteralmente ad annientarli definitivamente.
Il controllo dei valichi permise lo sfruttamento delle miniere come le “aurifondinae” della Bessa e lo sviluppo di un sistema viario. Secondo l’Itineraria Antonini e la Tabula Peutingeriana esisteva una strada lastricata che collegava Ivrea a Vercelli, lunga 33 miglia romane (km 48.774): si presume che passasse a Sud del lago, attraverso Albiano, Settimo Rottaro (‘ad septimum lapidem ab Eporedia‘), Azeglio, l’ospedale di Monte Perioso, le Loggie, il Sapel da Mur, Alice Castello e Santhià; fu già in parte distrutta dai Goti, durante il saccheggio di Ivrea nel VI secolo d.C.
Altre fonti indicano la presenza di una strada secondaria che da Bollengo scendeva fino a Santhià passando a Nord del lago. Le strade romane furono progressivamente smantellate dall’abitudine popolare medioevale di usarne le pietre squadrate per le proprie costruzioni: così oggi non ne rimane traccia e la questione del loro percorso sotto La Serra rimane aperta.
Di Viverone nel tempo romano (200 a.C.- 400 d.C.) sappiamo ben poco: dai resti nella zona compresa tra Viverone e Piverone, si deduce che dovevano esserci diversi centri romanizzati, come pure dimostra la toponomastica dei nomi di Anzasco e Peverano.
Il Cristianesimo
Sin dai primi secoli cristiani Viverone faceva parte della diocesi di Vercelli, i cui vescovi furono tra gli evangelizzatori più vivi ed attivi dell’Italia settentrionale; tra questi spicca la personalità di S.Eusebio, inviato da S.Ambrogio a Vercelli nel 345 dove fondò, secondo la tradizione, il primo episcopato del Piemonte. Probabilmente anche Viverone dovette risentire di questo sforzo evangelizzatore compiuto dalla Chiesa vercellese.
Medievo
I Franchi e il Vallo Longobardo
Per l’epoca medioevale abbiamo maggiori informazioni soprattutto grazie a documenti di tipo ecclesiastico, che attestano collegamenti tra Viverone e Vercelli .
In generale la storia di Viverone non si discosta da quella di tanti paesi del Canavese, che nei secoli medioevali subirono dapprima, nella seconda metà dell’VIII secolo, lo scontro tra Longobardi e Franchi. Si ritiene infatti che sull’altura dell’anfiteatro morenico, nel tratto che va dalla Dora Baltea sino sulla cresta della Serra, dovesse correre un grande vallo difensivo, facente parte delle cosiddette “Chiuse Longobarde“, eretto da Desiderio al fine di chiudere la via per la Pianura Padana agli eserciti di Carlo Magno provenienti dalle valli di Aosta e Susa. Esso è documentato dal “Chronicon Imaginis Mundi“, scritto nel 1300 da Fra’ Jacopo d’Acqui, secondo cui la battaglia decisiva avvenne proprio in prossimità della Serra e le difese erano formate da muri a secco, costituiti da pietre grandi e piccole, ammucchiate “a maceria”; inoltre la scoperta di alcune tombe di guerrieri testimonia la presenza longobarda a oriente del lago. Seguendone i resti più o meno cospicui se ne deduce il percorso di una trentina di chilometri: da Zimone passava sul Monte Orsetto e nei pressi di S.Elisabetta, costituiva le pietre della Maserassa, chiudeva il valico del Sapel da Mur e, toccando il Bric delle Barricate, giungeva alla Dora, che fino ad Ivrea non aveva alcun ponte.
La Via Francigena.
Con il frantumarsi dell’Impero Romano ad opera delle invasioni barbariche, le strade consolari videro un lento ma inesorabile declino, tanto da diventare in pochi secoli quasi impraticabili.
La Via Francigena era uno dei percorsi di pellegrinaggio per Roma (Romee) che costituirono un sistema di comunicazione che ha riallacciato i rapporti e gli scambi tra il Nord e il Sud dell’Europa, dopo l’isolamento causato dalla caduta dell”Impero Romano (si ricordi il viaggio di Sigerico, vescovo di Canterbury, nel 990 per ricevere il pallio episcopale dal papa Giovanni XV e quello, al ritorno dalla Terza Crociata, di Filippo Augusto, re di Francia, nel 1191).
Non bisogna però immaginarla come una strada moderna, bensì un tracciato non sempre ben definito, seguito dai pellegrini con passaggi e tappe obbligati, dovuti all’attraversamento di valichi alpini, guadi o ponti, alla sosta in ospedali o paesi.
Il ramo Nord della Via Francigena, giungendo dalla Francia, attraversava Aosta e Ivrea, e, dirigendosi verso Vercelli, passava per il lago. Qui si divideva in varie alternative (forse per via del terreno paludoso o per l’attrazione dell’oro nella pianura della Bessa o per il timore di un mostro leggendario in agguato nelle sue acque): comunque le rive del lago erano allora percorribili solo a piedi, perché erano assenti strade carrabili.
Verosimilmente la Via si divideva in due varianti principali tra Ivrea e Santhià: una era la “strada di sopra” che scendeva da Piverone a Bollengo, proseguendo poi a Nord del lago e per il borgo di Viverone; l’altra, la “strada delle Loggie“, transitava per Azeglio e Alice Castello, seguendo il percorso dell’antica strada romana.
Quest’ultima fu progressivamente abbandonata, forse per la presenza, nella zona di Azeglio, di fitti boschi facilmente utilizzabili come nascondiglio dai briganti (si pensi all’ossessivo avvistamento di Saraceni o alla spaventosa figura dell’ ‘homo selvaticus’ medioevale).
Arduino e i vescovi-conti
Dal successivo periodo carolingio il Canavese conobbe l’affermazione del sistema feudale e, nei secoli seguenti, subì i tentativi degli imperatori germanici e della Chiesa di affermare il loro potere sull’Italia settentrionale: numerosi furono gli scontri tra i feudatari laici e i vescovi-conti appoggiati dal papa e dall’imperatore; tra tutti si ricordino la leggendaria figura diArduino, marchese d’Ivrea e più volte re d’Italia dal 1000 al 1014, e le sue gesta contro gli imperatori Ottone III e poi Enrico II, i vescovi di Ivrea, Warmondo, e di Vercelli, Leone.
Sul finire del XI secolo presero sempre più potere nell’Alto Canavese alcuni nobili che, appoggiati dall’imperatore, si arrogarono del titolo di “conti de canavise” in base a presunte discendenze da Arduino: da loro derivarono poi le casate dei San Martino, dei Valperga e dei Masino.