Il territorio di Cavaglià, per lo più pianeggiante, si estende ai piedi della collina morenica della Serra, che separa Biella da Ivrea ed è la più lunga collina morenica d’Europa; tra la zona più alta e quella più bassa del Comune si contano circa m. 250 di dislivello. Il paese sorge in un’area popolata sin dall’antichità; i celti diedero nome a diverse regioni intorno all’abitato principale.
I Menhir
Tra i motivi d’interesse all’interno del paese va annoverato un cromlech, vale a dire una sorta di monumento di forma circolare costituito da un insieme di grandi pietre grezze – i cosiddetti “menhir”. Tale sito, osservabile all’ingresso del paese nei pressi della prima rotonda che s’incontra provenendo dalla Strada Statale n. 142 per Biella, è stato costituito di recente, collocando e spostando antichi massi la cui datazione non è certa: molti menhir sono di epoca neolitica, ma la loro costruzione si protrasse fino all’età del bronzo e anche in epoche più vicine a noi (fino alle soglie del medioevo). Suggestiva è l’ipotesi che si tratti di antichissimi megaliti eretti con lo scopo di essere utilizzati come mire per segnare il sorgere o il tramontare sulla sfera celeste di particolari oggetti astronomici quali il Sole ai solstizi, la Luna ai lunistizi e le principali stelle. La Soprintendenza per i Beni archeologici del Piemonte ritiene che il complesso megalitico di Cavaglià di riferisca ad un’area sacra preromana; su almeno una decina di pietre si è potuta constatare la presenza di incisioni rupestri (una croce e una coppella probabilmente tardomedievali), oltre a tracce di lavorazione antica.
La Chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo
Proseguendo verso il centro paese si trova l’imponente parrocchiale di San Michele Arcangelo. La chiesa, assai vasta, sorse su progetto dell’architetto Filippo Castelli a partire dal sec. XVIII. Ad una sola, grande navata presenta sei cappelle laterali di notevoli dimensioni oltre la maggiore, tutte munite di balaustre in marmo; fu consacrata il 29 settembre 1798. Della chiesa primitiva resta il campanile, costruito con pietre verosimilmente tratte dai campi circostanti e risalente alla fine del secolo XVI. All’interno: coro rococò, abbellito con stalli lignei settecenteschi acquistati dal monastero di Santa Maria della Sala di Andorno Micca; pulpito in noce dei fratelli Tempia di Mortigliengo della fine del secolo XVII; orchestra scolpita da Giovanni Godone di Piverone nel 1819. Il fonte battesimale è dotato di cassa lignea poggiante su una vasca progettata da Alessandro Antonelli (il celebre architetto cui si deve la Mole Antonelliana), autore anche dei disegni degli stucchi e delle sei balaustre laterali. Di notevole valore l’organo, inaugurato nel 1821, opera dei famosi fratelli Serassi di Bergamo e acquistato grazie ad una sottoscrizione popolare.
La Chiesa di San Francesco
Dalla Chiesa parrocchiale, svoltando a sinistra in via Umberto I, troviamo la piccola chiesa di San Francesco (per poterla visitare, contattare la Parrocchia). Era in origine la chiesa della Confraternita dei Disciplinati, sorta sui resti di una precedente a partire dal 1664. Tra le opere più importanti che si trovano al suo interno, quattro dipinti murari (sec. XVIII) – in parte danneggiati dall’umidità – che rappresentano episodi della vita di San Francesco d’Assisi. Interessanti anche l’altare maggiore a intarsi marmorei e la balaustra, scolpiti originariamente per la chiesa parrocchiale e qui trasportati nel 1728.
L’Oratorio di San Rocco
A pochi passi da San Francesco sorge l’oratorio di San Rocco. L’oratorio fu demolito e ricostruito verso il 1746, in seguito ad un voto della popolazione dopo una pestilenza che colpì il bestiame. Soppresso nel 1807 dal Vescovo di Vercelli, venne riaperto al culto con il ritorno dei Reali Sabaudi. All’interno l’altare e l’ancona in finto marmo sono opera dei luganesi Solari, databili attorno alla metà secolo XVIII.
La Chiesa di Santa Maria di Babilone
Chiesa a pianta ellittica risalente all’inizio del secolo XVII, è stata definita il miglior monumento barocco secentesco del Biellese; il suo architetto va ricercato tra i seguaci di Ascanio Vitozzi (1539 – 1615). Al suo interno da notare un altorilievo in stucco policromo raffigurante i Re Magi che offrono doni a Gesù Bambino, notevole per antichità; si tratta infatti di un’opera dei secoli XII – XIV, tratta dalla primitiva chiesa successivamente demolita.
Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio
Il Priorato dei Santi Vincenzo e Anastasio di Cavaglià, dipendente dal monastero di San Benigno di Fruttuaria, venne fondato intorno al 1000 e divenne, grazie a donazioni, possessore di beni in Cavaglià, Alice, Dorzano, Piverone, Salamone, Tronzano, Salussola, San Damiano, ecc. [Delmo Lebole, La chiesa biellese, vol. I, pp. 133-136].
Le sue mura vennero santificate dalla presenza del cavagliese Giovanni Gersen, presunto autore de “L’Imitazione di Cristo”, che qui si formò religiosamente per poi diventare Abate a Santo Stefano di Vercelli. I secoli XV e XVI segnano la fine della presenza dei monaci e il monastero vuoto crolla e così parte della Chiesa (Mons. Delmo Lebole, Terrae Animae di Rosella Milano, prefazione). Dell’antica Cella dove vivevano una decina di monaci benedettini, rimangono solo i resti della Chiesa romanica dei SS. Vincenzo e Anastasio, all’interno del giardino di pertinenza privata e visitabile previo accordi tra il Comune e i proprietari che si sono sempre dimostrati disponibili.
Tra i resti l’abside centrale, l’altare di pietra, l’ingresso della cripta sotterranea e alcune navate laterali. Sul soffitto si conservano le tracce di un affresco raffigurante Dio Padre benedicente, attribuibile al 1400 da pittori di una scuola novarese. Cavaglià fu sede dei due priorati dei Santi Vincenzo e Anastasio, dipendente dall’Abbazia di Fruttuaria,e di quello di Santa Maria del Brianco.
Il Castello del Chioso
Il castello è citato in vari documenti: del 1034 quando Umberto, conte del luogo, donò alcune terre alla cella di S. Vincenzo con atto “in castro Cabaliacae”; del 1207 quando Tebaldo, conte di Cavaglià, cede al conte Enrico un suo sedime “vicino al castello di Cavaglià”. Un terreno viene detto fin dal 1251 “retro castrum Cabaliacae” e vi è il toponimo “dietro castello”. Sul finire del secolo XIX i ruderi del castello dovevano essere ancora visibili: la sua era una forma irregolare che seguiva la circonferenza della vetta del colle. Presumibilmente le mura avevano più di un metro di spessore e scendevano "a mezzo il colle" racchiudendo nel giro parecchie case l’una isolata
dall’altra (il loro circuito era di circa 200 metri e il diametro massimo di circa 70). I signori del luogo, i Conti di Cavaglià, che nel 1173 si dichiaravano vassalli del Vescovo di Vercelli, furono coinvolti nel conflitto fra i Comuni di Vercelli e Ivrea, che durò dal 1221 al 1231, e parteggiarono probabilmente per Ivrea. Solo nel 1254 i conti di Cavaglià, non seguiti dal ramo parentale di Castronovo, giurarono fedeltà al Comune di Vercelli e nel 1257 a Cavaglià veniva costituito il borgo franco, ricostruendo il paese dove si trova attualmente e munendolo di fossati.
Restavano esterni al borgo il castello, il Priorato di SS. Vincenzo e Anastasio e la parrocchiale di S. Pietro (questa zona per anni diventò poi il cimitero locale). Il castello lentamente decadde e con lui le fortune della casata dei conti di Cavaglià. Nel secolo XV la fortificazione non doveva già più essere utilizzabile. Ad oggi nessun rudere è più visibile. Nel 2005, nel corso di alcuni scavi, sono venute alla luce parte delle mura e delle fondamenta del castello.
I resti potrebbero diventare oggetto di realizzazione di un parco archeologico.
(Fonti informazioni storiche: Monsignor Delmo Lebole)