Azeglio, la storia, la memoria ed il suo ricco presente.
Quando si percorre la strada che porta ad Azeglio non si può che apprezzare il bel panorama: le colline moreniche della Serra si stringono dolcemente in cerchio per abbracciare il lago di Viverone e, tutto intorno, lo sguardo viene catturato da paesini che sembrano ritagliati nel cartone, fermi, raccolti, silenziosi.
L’ampia piazza principale di Azeglio accoglie placidamente i visitatori; i poderosi ippocastani fanno compagnia al busto di Massimo d’Azeglio, l’elegante teoria dei portici del Municipio guida gli occhi verso la Torre campanaria, una delle più alte del Canavese con i suoi 52 metri di altezza.
Girato l’angolo, si apre improvvisamente un tutto unico, molto antico, dove selciato, chiesa e mura respirano insieme e sollecitano a passeggiare nello stretto vicolo al cui fondo sbuca il castello che fu anche di Massimo d’Azeglio.
E’ un posto suggestivo, che sembra avere un’anima segreta ed attivare una macchina del tempo che porta all’inizio della storia.
Un po’ di storia
Il paese era già abitato nella preistoria, come è testimoniato dai reperti palafitticoli rinvenuti vicino alla sponda azegliese del lago di Viverone.
Fu poi dominato dai Romani fino alla caduta dell’Impero d’Occidente (476 d.c.) e da essi si ipotizza l’origine del nome del paese (Asylum, colonia penitenziaria romana circondata dall’acqua).
Le altre ipotesi che si fanno sul nome sono ancora di derivazione latina (In agellis, piccoli prati) o celtica (Ac-sela, sopra l’acqua), oppure altri parlano di Azenia (mulino ad acqua). Caduto l’Impero Romano, il paese passò in mano ai Barbari (Eruli, Goti, Longobardi).
Nel 773 Carlo Magno, re dei Franchi, sconfisse i Longobardi e suddivise il Canavese in contee e marche; il feudo di Azeglio (seguendo le sorti del Marchesato di Ivrea) passò in mano a vari Signori sotto la giurisdizione del Vescovo di Ivrea (i Bicchieri di Vercelli, i marchesi di Ponzone ed i conti di Masino).
Un documento del 1041 riporta che il Vescovo Enrico incluse, nella dotazione del Monastero di Santo Stefano d’Ivrea, “la corte di Azeglio col castello”: si tratta del Castellazzo, un’antica fortezza in regione Villa, unitamente al villaggio primitivo, i quali l’uno e l’altro tra l’XI ed il XIII secolo furono al centro delle discordie comunali tra Ivrea e Vercelli.
Nel 1270 gli Azegliesi furono costretti a lasciare, per volere di Vercelli, l’antico borgo per spostarsi verso levante dove sorse il Borgo Franco (nell’attuale sito del capoluogo), il quale diede origine al primo nucleo del Comune ed agli Statuti. Alla fine del 1200 vanno fatte risalire anche le origini del nuovo castello, attualmente proprietà della famiglia D’Harcourt.
Nel 1345 i Ponzone prestarono giuramento di fedeltà ai Savoia e, grazie alle truppe savoiarde al comando di Bonifacio di Challant, nel 1391 venne scacciato Facino Cane, il quale aveva occupato Azeglio per conto dei marchesi del Monferrato.
Successivamente, i fatti salienti della storia del paese si legano alla monarchia sabauda ed i marchesi di Ponzone – fra alterne vicende – tramandarono i loro diritti sul feudo, allorquando le figlie di Giacinto ed Aleramo Ponzone si imparentarono rispettivamente con il conte Tapparelli di Lagnasco ed il conte D’Harcourt di Fiano.
Massimo d’Azeglio
Massimo Tapparelli è considerato tra i cittadini più illustri del paese, quantunque non nativo di A-zeglio. Nato a Torino il 24 ottobre 1798, egli si firmò sempre “d’Azeglio” o “Azeglio” negli innu-merevoli atti che dimostrano l’ampiezza degli interessi coltivati e delle attività di statista (Presidente del Consiglio dei Ministri del Parlamento Subalpino dal 1850 al 1852 e Governatore di Milano nel 1860), diplomatico, pittore e scrittore (Ettore Fieramosca, Niccolò de’ Lapi, I miei ricordi, ecc.). Uomo disincantato, disinteressato e amabilmente autoironico, a Massimo d’Azeglio tutta l’Italia tributa onori dedicandogli strade, scuole, enti. Ma, nonostante gli interessi ed il campo di azione di ampio respiro, egli fu sempre affettivamente legato ad Azeglio.
Così si esprimeva ne “I miei ricordi”: “E’ un paese di brava e buona gente di quel sangue (un po’ stizzoso , ma buono) che pretendiamo avere noi Canavesani. Con questo noi io mi vanto un poco; perché… a rigore i miei sono di Savigliano,…ma tante belle memorie mi legano agli Azegliesi, ed essi dal canto loro mi vogliono tanto bene che non potranno aver per male s’io mi dico dei loro; quantunque la mia famiglia, per via di femmine e soltanto da poche generazioni divenisse proprietaria di quel castello”. Alla morte del padre, Massimo ereditò il Castello di Azeglio e lì vi trascorse brevi ma intensi sog-giorni. Uno dei più felici fu sicuramente quello del luglio 1831 con Giulia Manzoni, sposata a Milano il 21 maggio. Nella quiete della campagna e nella serenità degli affetti, Massimo riprese a scrivere l’Ettore Fieramosca che tanto successo riscosse, una volta pubblicato, e tanta risonanza ebbe negli ambienti dove si sosteneva l’ideale di un’Italia libera e unita.
Il Castello è una grandiosa dimora signorile, di primitivo impianto medievale (anche se a partire dalla fine dell’Ottocento ha subito un rifacimento in stile neo-gotico inglese) la cui mole domina il centro storico azegliese. Il legame con Azeglio è evidente anche nella sua attività di pittore.
Di un suo quadro, dipinto nel 1832, raffigurante la “Villa d’Azeglio presso Ivrea” purtroppo riman-gono solo delle riproduzioni perché fu distrutto a Milano durante i bombardamenti del 1943. Un altro dipinto, “La morte del conte de Montmorency, fu donato al paese per ringraziare per il “servizio” fatto celebrare in occasione della morte del fratello Roberto. Attualmente il quadro, passato poi al Comune di Torino, si trova presso la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM). Ed anche se nel 1839 fu costretto a vendere il Castello (il quale venne acquistato dal conte Giuseppe d’Harcourt), Massimo d’Azeglio non fece mai mancare generose donazioni al paese. Tra queste, una cospicua offerta rese possibile – unitamente alla rendita annua del cav. Pietro Lucca- la costruzione dell’asilo infantile, il quale fu inaugurato il 10 luglio 1864.
Inoltre, rinunciando ad una pensione che gli spettava come ferito di guerra e decorato di medaglia al valore militare, sostenne il mantenimento del cappellano di Pobbia, perché anche la frazione potesse “avere un prete che dicesse messa nella chiesa ed insegnasse ai bambini”.
Ma, oltre alle grandi personalità ed alla Storia con la “s” maiuscola, un’altra storia ha caratterizzato il paese, rendendolo noto in buona parte del mondo.
Di impronta prevalentemente agricola, l’economia azegliese fu caratterizzata – dalla seconda metà dell’Ottocento fino a tutti gli anni Sessanta del secolo scorso – anche dall’attività artigianale di co-struzione ed impagliatura delle sedie. Grazie alla paziente ed operosa laboriosità delle ampajaure e dei cadregat, le sedie azegliesi furono esportate ed apprezzate in diversi paesi, compresi gli Stati Uniti d’America.
Per rendere operante il ricordo, trasferendo nel futuro la memoria artigianale e l’identità dei luoghi, l’associazione di volontariato ARTEV ha creato l’Ecomuseo dei Seggiolai, attualmente costituito dal sito espositivo “La cadrega fiurija” e dal “Sentiero della lesca”.
La visita al museo ed il percorso naturalistico nel bosco e sulla sponda azegliese del lago di Viverone intendono mostrare lo stretto legame tra le risorse ambientali del paese (da cui veniva tratto il legno per la costruzione delle sedie e l’erba lacustre, la lesca, per la loro impagliatura) ed offrire un’occasione per valorizzare ulteriormente il paese, il quale è ricco di presenze architettoniche e storiche di grande valore.
Oltre ai già menzionati Castellazzo e Castello d’Harcourt, sono degni di nota la Chiesa parrocchiale di San Martino (1787-90 ), la Torre campanaria (1797-1814), la settecentesca Ghiacciaia, il Palazzo comunale (1860) ed il Santuario di Sant’Antonio Abate, un tempo ospizio per i pellegrini che nel Medioevo percorrevano la Via Francigena.