Magnano appartiene alla Comunità Montana Alta Valle Elvo e alla Riserva della Bessa. Confina a nord con i Comuni di Torrazzo, Zubiena e Cerrione; a ovest e a sud confina con la Provincia di Torino, attraverso i Comuni di Palazzo, Bollengo e Piverone. Tutto il territorio comprende altre località e cascine sparse, le cui più importanti sono San Sudario, Bose, Broglina, Tamagno, Piletta, Molino del Ghé, Carrera, Lucento.
L’odierno abitato di Magnano sorge ai piedi di un’altura che ospita il ricetto medievale, ma il suo primo nucleo doveva già esistere, quanto meno dall’XI secolo più ad est, nell’avvallamento dove è tuttora situata la chiesa romanica di San Secondo, costruita appunto intorno all’anno 1000. Non si hanno testimonianze scritte sulle origini più remote del borgo, ma dai toponimi (come Bose, bosa, cioè pozza d’acqua in celtico) e dalla presenza della vicina Victimula, famosa per l’estrazione delle sabbie aurifere, non è da escludere una presenza sul territorio magnanese di popolazioni di Liguri e, successivamente, di tribù galliche.
Situato, dunque, sul versante biellese della Serra Morenica più grande d’Europa, il piccolo centro di Magnano ebbe sin dal Medioevo un ruolo strategico nelle rivalità tra i potentati di Vercelli e i signori che esercitavano il controllo sul vicino Canavese. Il paese è citato sin dal 1165 tra i possedimenti appartenenti agli Avogadro di Cerrione; l’anno seguente alcuni calderai di Magnano compaiono in un dettagliato contratto stipulato con i canonici di Sant’Eusebio di Vercelli per la fornitura di pentolame. Nel 1200, Magnano è citata nell’arbitrato di pace tra il Comune di Vercelli e il Marchese di Monferrato; nel 1204 un Console di Magnano e due deputati, a nome «omnium vicinorum suorum, atque totius comunitatis eiusdem loci» donano al Comune di Vercelli dei terreni della «vaccarizza», acquistati in parte dai signori di Magnano, impegnandosi a trasferirvi le loro case e ad acquistare casa a Vercelli, onde ottenerne la cittadinanza. Nel febbraio 1205, il Comune di Vercelli accetta la donazione e reinveste i consoli di Magnano dei beni acquisiti; il nuovo borgo riceve il nome di Borgo Petro e viene elevato a Borgo Franco con vari privilegi. Con un atto successivo, si ordina agli abitanti di Magnano di trasferirsi nel nuovo borgo, a cui presidio viene eretto il ricetto, dotato di mura e di due torri a sua difesa. Di tali torri, ne sopravvisse una sola, la torre-porta adibita poi a campanile e che tuttora rappresenta uno degli emblemi del paese. Nel XV secolo, il borgo seguì le stesse sorti di Zimone, con la cessione agli Avogadro, in un primo tempo, e al Ducato di Savoia successivamente, per poi finire sotto il controllo dei signori Dal Pozzo nel 1561. Circa sessant’anni dopo, gli Avogadro riacquistarono il solo territorio di Magnano, e lo amministrarono fino al XIX secolo.
Agli inizi del XVI secolo, San Secondo perde definitivamente le funzioni di chiesa parrocchiale in favore della nuova chiesa dei SS. Secondo e Biagio, posta ai piedi del ricetto, il processo di spostamento dell’abitato può dirsi finalmente compiuto. Nel XVII secolo la popolazione aumentò costantemente fino a superare i mille abitanti nel 1661. Questo incremento demografico rese necessario la costruzione dell’attuale parrocchiale dedicata ai SS. Giovanni Battista e Secondo, in sostituzione della precedente, ormai troppo piccola.
I Magnanesi si sono sempre sostenuti con l’agricoltura o praticando alcuni lavori artigianali: magnani (fabbri), da cui forse ebbe origine il toponimo del paese, vasai (in particolare, nella frazione di Carrera) favoriti dalla presenza in loco di una terra adatta alla fabbricazione di stoviglie e, in epoca più recente, carpentieri e muratori.
Nell’agricoltura, una menzione speciale merita la coltivazione della patata, introdotta a fatica tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, quale nuova coltura sulla Serra, probabilmente a seguito dei contatti commerciali con la Valle d’Aosta. Verso la metà dell’Ottocento, la patata entra però a pieno titolo tra le principali attività agricole del territorio magnanese. Le caratteristiche morfologiche e idrogeologiche della zona consentono non solo la coltivazione della patata ma possono spiegare, altresì, lo sviluppo della comunità di Magnano, come uno dei centri di aggregazione più importanti della Serra, che contava circa duemila abitanti nei primi del Novecento (Cfr. Giuseppe Quaglino, La valle dei Mulini, di cui infra). Il terreno, grazie ai depositi fuvioglaciali caratterizzati da sedimenti in prevalenza sabbiosi, garantiscono un buon drenaggio e, quindi, una sede adatta all’agricoltura, soprattutto alla coltura dei tuberi. La presenza di falde freatiche e la conformazione stessa del terreno hanno favorito anche lo sviluppo di mulini, che lavorarono a pieno regime sino al Novecento.
Un tempo il bosco, che attualmente ricopre la maggioranza del territorio, era molto meno presente: da un censimento del ministero dell’agricoltura del 1935, quando la popolazione, già in calo, assommava ancora ad un migliaio di persone, possiamo sapere che in Magnano si trovavano 652 bovini, 35 equini, 56 suini, 25 caprini, 3 ovini. A fronte di 500 ettari di bosco (35 dei quali però erano a castagneto fruttifero) si trovavano circa 150 ettari di prato a pascolo. Si seminavano frumento, segale, granoturco. I vigneti coprivano 92 ettari di terreno, dai quali si produceva un vino di non grande qualità, che comunque soddisfaceva i bisogni locali (quando la grandine non devastava il raccolto…). Tra gli alberi da frutto venivano censiti meli, peri, noci, peschi e gelsi: si allevavano quindi i bachi da seta, che venivano venduti presumibilmente a Ivrea (nel 1895, per esempio, risultavano esserci 30 allevatori che producevano 400 chili di bozzoli). Non vengono menzionati i noccioli, che si suppone siano divenuti solo in anni più recenti una coltura significativa del luogo.
Tra fine Ottocento e fino al secondo dopoguerra del Novecento, le difficoltà economiche sempre crescenti delle famiglie, il richiamo delle industrie nascenti e l’emigrazione verso Nord e Sud America, Francia e Svizzera hanno determinato un vero e proprio fenomeno di spopolamento della regione. Negli ultimi anni anche il “trend” negativo dei residenti sembra essersi interrotto, se pur con molta lentezza: qualche nuovo abitante si aggiunge annualmente alla lista della popolazione residente.